1990 / Il segno

1990
Negli anni Novanta, il lavoro di Marescalchi si arricchisce di una maggiore complessità narrativa e simbolica: l’immagine non è più solo un segno visivo, ma un veicolo di significati stratificati e riflessioni profonde.
Le sue opere si popolano di iconografie ricorrenti, come caproni, aerei, monete, animali, carte da gioco, formule matematiche e uccellini.
La sua tecnica evolve sensibilmente nella seconda metà del decennio: dai tratti liberi e dalle pennellate leggere, ispirate alla calligrafia orientale, passa a un linguaggio più preciso e definito, con l’inchiostro al centro della composizione. Questo medium gli permette di esaltare la delicatezza e l’eleganza del segno, mantenendo al tempo stesso un rigore strutturale.
Gli elementi matematici - come i quadrati magici introdotti negli anni ’80, le sequenze numeriche e le formule - continuano a occupare un posto centrale nel suo lavoro. Questi dettagli sono tracciati con estrema precisione, quasi sempre in rosso, con rare incursioni di giallo e blu.
Nei suoi taccuini, riflettendo sull’uso dell’inchiostro, scrive:
“La carta è la sua luce senza appello e di fatto tutto va pensato in termini negativi: ciò che si applica è a levare, come fosse una scultura. Non è possibile dare luce finale per ri-bilanciare i valori: non ammette correzioni. E dato l’assorbimento della carta e la velocità d’asciugatura del veicolo, il fattore tempo è, come per l’acquerello, strumento immediato dell’idea. Dove questa non è certa, le sovrapposizioni, gli strati e stati incerti annulleranno la velocità dell’intuizione o di quel che è dietro: sporcheranno la visione.”
Questa riflessione svela il suo approccio rigoroso e meditativo al processo creativo, dove il gesto e il pensiero si intrecciano in un equilibrio sottile tra controllo e immediatezza.














